Qualche indicazione su come lavoro

Premetto che il termine psicoterapia deriva dal greco antico: psiche = anima e terapia = cura

La psicoterapia è dunque una forma di cura dell’anima, attraverso la relazione interpersonale con uno psicoterapeuta.

Nei percorsi di psicoterapia promuovo il benessere delle persone con gli strumenti del colloquio psicologico e della relazione terapeutica, avendo in mente l’ottica sistemico-relazionale. Considero quindi la sofferenza della persona come espressione di un disagio all’interno di uno dei sistemi di appartenenza (famiglia, coppia, amicizia, lavoro) e l’identità individuale influenzata dalle dinamiche e delle esperienze relazionali dell’individuo nel corso della sua vita.

Fondamentale del mio lavoro è il raggiungimento della consapevolezza della relazione più influente – quella con se stessi – per poi favorire la differenziazione del Sé rispetto agli altri e un buon equilibrio emotivo e relazionale.

Dopo aver accolto le diverse esigenze, il primo intento è quello di offrire un luogo sicuro, una stanza delle parole accogliente e non giudicante. Lo spazio clinico e l’alleanza terapeutica favoriscono poi un processo di co-costruzione di nuovi significati della sofferenza e la riattivazione delle risorse interne che ognuno possiede. Tali risorse consapevolmente riscoperte, insieme a quelle che emergono negli incontri, diventano preziose per acquisire fiducia in se stessi e permettersi sia di modificare i modelli attuali non più funzionali, sia di esplorare nuove vie percorribili, basilari per poter affrontare eventuali difficoltà future.

Concordo con Virginia Satir quando diceva che Il compito del terapeuta è di vedere la luce che brilla in ogni persona o famiglia, e di togliere le bende che avvolgono quella luce.

Qualche volta ricordo alle persone che incontro che servirà abbandonare l’obiettivo di avere un passato migliore. Non possiamo evitare i rimpianti di ciò che è successo, ma possiamo evitare quelli futuri, partendo da ciò che ci può succedere da oggi in poi. La crisi e la sofferenza in una stanza di terapia diventano pertanto l’inizio di una riflessione da cui partire per stimolare l’auto-consapevolezza e la promozione del benessere.

Sottolineo inoltre che non si può lavorare su di un sintomo senza capirne l’utilità per la persona. I sintomi sono forme di comunicazione, sono intesi come espressione di una sofferenza psichica e relazionale e inconsciamente come meccanismi di difesa dalla sofferenza stessa (faccio un esempio: non sto male perché soffro di un disturbo alimentare, ma soffro di un disturbo alimentare perché sto male). Spesso le sofferenze più intime e soggettive rimarrebbero però oscure se non si inserissero in un contesto e in una storia che collega i vissuti personali dell’individuo con le dinamiche del suo ambiente, osservate sotto il profilo dei modelli relazionali che le caratterizzano e dei valori e miti che le influenzano.